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La Papale Basilica patriarcale maggiore arcipretale liberiana di Santa Maria Maggiore, nota semplicemente come Santa Maria Maggiore è una delle quattro basiliche papali di Roma (le altre sono l’Arcibasilica di San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura e San Pietro), e si colloca alla sommità del colle Esquilino; ha la caratteristica di essere l’unica ad aver conservato la primitiva struttura paleocristiana. Come curiosità si osserva che il protocanonico onorario è di diritto il re di Spagna, e quindi da poco tempo (luglio 2014) Filippo VI ha sostituito il padre Juan Carlos I.

La tradizione vuole che sia stata la Vergine in persona, apparendo in sogno al patrizio Giovanni ed al Papa Liberio, ad indicare il luogo dove si sarebbe dovuta costruire la basilica. Inoltre, il 5 agosto 358, una inusitata nevicata avrebbe coperto il colle Esquilino. Papa Liberio avrebbe tracciato nella neve il perimetro della nuova basilica, la cui costruzione sarebbe stata finanziata dal patrizio Giovanni. Va detto che di questa costruzione originaria non resta nulla, se non un passo del Liber Pontificalis nel quale si legge che Liberio “Fecit basilicam nomini suo iuxta Macellum Liviae”. Infatti, anche i recenti scavi (1966-1971) che hanno portato alla luce importanti testimonianze archeologiche, dei secoli II e III dopo Cristo, non sono state in grado di restituire nulla dell’antica, perduta, costruzione. Ad ogni modo, ogni 5 agosto viene rievocata la nevicata, con una cerimonia che prevede una “nevicata” di petali bianchi dalla cupola alla Cappella Paolina. La chiesa originaria era dedicata alla fede nel Credo proclamato dal primo Concilio di Nicea (325). Gli scavi di cui si diceva, però, hanno portato alla luce numerosi ambienti, visitabili tramite il Museo, e di cui poco si sa. Si tratta di molti ambienti articolati attorno ad un grande cortile, collocati a vari livelli, e di epoche diverse. Incontriamo, infatti, resti di terme, con mosaici ed intercapedini per il riscaldamento, tegole antiche, affreschi geometrici e, soprattutto, tracce di affreschi relativi ad un calendario agricolo.

Ciò che abbiamo oggi, e non è certo poco, è dovuto a Papa Sisto III (432-440), che dedicò la basilica ricostruita al culto della Madonna, la cui divina maternità era stata appena riconosciuta dal Concilio di Efeso del 431. La basilica si presentava a tre navate, divisa da 21 colonne di spoglio per lato, sormontate da capitelli ionici, sopra le quali correva un architrave continuo; la navata centrale era illuminata da 21 finestre (metà delle quali verranno successivamente chiuse). Preziosissimi sono i mosaici originali del V secolo che troviamo nella navata centrale, entro pannelli collocati sotto le finestre, in origine racchiuse da edicolette, e trattano, non in ordine cronologico di temi riguardanti l’Antico Testamento: storie di Abramo, Giacobbe, Isacco a sinistra, di Mosè e Giosuè a destra. Originariamente erano 42 i riquadri presenti, ma oggi se ne conservano 27, dopo le distruzioni dovute alle aperture laterali del XVIII secolo. Quel che rimane è il primo ciclo figurativo apparso in una chiesa di Roma, e presenta caratteri stilistici legati alla pittura tardo antica, con appropriazione da parte del Cristianesimo dell’immagine e degli attributi tipici degli imperatori romani.

Altri mosaici coevi sono quelli che si collocano nell’arco trionfale. Qui vengono narrati alcuni momenti dell’infanzia di Gesù, tratti anche dai Vangeli apocrifi. Colpisce in particolare l’affresco che illustra l’incontro tra Cristo bambino e il governatore dell’Egitto Afrodisio, terrorizzato dal crollo degli idoli avvenuto alla notizia della presenza di Gesù. Questo episodio, infatti, è attestato solo in questo mosaico e proviene, appunto, dai Vangeli apocrifi, ossia da quei vangeli che si riferiscono alla figura di Gesù, di solito bambino, esclusi nel corso del tempo dal Canone della Bibbia cristiana, ma non per questo da considerarsi “falsi”. Il termine “apocrifo”, infatti non significa “falso” ma solo “nascosto”. Alla sommità dell’arco, inoltre, si trova il Trono dell’Etimasia con una Croce (motivo iconografico cristiano di origine orientale, rappresentante un trono vuoto sormontato da una Croce), affiancato dai santi Pietro e Paolo e sormontato da un Tetramorfo (Raffigurazione iconografica dei quattro animali dell’Apocalisse, leone, toro, agnello e aquila, alati, a figura intera o solo il capo, nimbato e circondato da ali; fu usato anche come simbolo degli evangelisti). Ai lati le due città sante di Gerusalemme e Betlemme.